I 150 ANNI DEL GIANDUIOTTO.

Il cioccolatino che più di tutti è conosciuto per il foglio d’alluminio che lo avvolge e lo protegge compie 150 anni.
Una storia di dolcezza e bontà, ma anche di praticità e sicurezza grazie all’alluminio che ha permesso al gianduiotto piemontese di essere esportato in tutto il mondo, conservando il suo sapore e l’inconfondibile aroma.

Ma leggiamo la sua storia. 

Il battesimo del Gianduiotto  (o a rigore «giandujotto» perché la maschera si chiama Gianduja, ossia Gian d’la Duja, letteralmente Giovanni del boccale) avvenne 150 anni fa, durante una sfilata dei carri di Carnevale a Torino, quando la maschera simbolo della città lanciò sulla folla, a pioggia, questi tocchi di cioccolato nuovi e poco conosciuti. 

Nasceva così il mito del cioccolatino la cui storia si intreccia da sempre con quella della città. Torino, ai tempi, era già una delle capitali mondiali del cioccolato e una leggenda (dubbia) vuole che a inventare il primo cioccolatino, il diablotin, diavoletto, sia stato Cagliostro di passaggio in città.  

Dopo il suo battesimo, il gianduiotto ebbe immediatamente una diffusione incredibile in quanto rappresentava una svolta per due motivi: il primo, dato dal matrimonio del cacao con la nocciola tonda gentile di Alba; il secondo è che il cioccolatino, cosa fino ad allora mai avvenuta, venne avvolto nel foglio d’alluminio. Sulla sua forma a barchetta le discussioni sono ancora aperte, la tesi più accreditata (poco convincente però: la maschera portava il tricorno) è che ricordi quella del cappello di Gianduja.

Il merito di queste innovazioni di prodotto e di «packaging» è di una coppia affiatata di cioccolatieri: Michele Prochet e Ernesto Alberto Caffarel, che avevano intrecciato i loro destini nell’azienda Caffarel-Prochet. Il primo già nel 1852 aveva inventato la pasta gianduia e un cioccolatino che si chiamava givu (mozzicone), il secondo erede di una dinastia di cioccolatieri di origine valdese contribuì alla diffusione del prodotto non solo in Italia.
Non bisogna dimenticare che in questa storia mise lo zampino anche Napoleone, perché il suo blocco alle importazioni di cacao dall’Inghilterra, a inizio secolo, aveva spinto i cioccolatieri piemontesi a sperimentare l’uso della nocciola in sostituzione di parte del cacao.

Oggi, anche se non sono soci, gli epigoni della coppia Prochet-Caffarel potrebbero essere i due Guidi, ossia Guido Gobino e Guido Castagna, che firmano gianduiotti d’autore. Il primo ha inventato il tourinot, ossia un mini gianduiotto che ha ridato slancio e forza propulsiva al marketing di un prodotto che un po’ d’anni fa aveva perso parte del suo appeal. Ma prima di arrivare a loro, la storia è lunga. C’è da dire ad esempio che dall’800 il tipo di lavorazione è cambiato: alle origini la pasta di cacao e nocciola era talmente morbida da non potersi mettere in stampi così veniva tagliata rigorosamente a mano. Poi arrivò l’invenzione del concaggio: ossia la pasta si rafforzò con il burro di cacao e si poterono usare degli stampi da produzione su larga scala, mentre a metà strada è la lavorazione ad estrusione: dove il taglio non è più a mano ma con una speciale macchina. Oggi non c’è cioccolatiere che non abbia una gamma di gianduiotti (al caffè, al latte, alla menta, aromatizzati, con percentuali varie di cacao di diversa provenienza), il che permette anche di fare bella figura con i clienti. D’altronde essendo il cioccolato una delle eccellenze cittadine, l’espressione «fare la figura del cioccolataio» ha perso a Torino la sua originaria accezione negativa: secondo l’ennesima leggenda c’era una cioccolataio talmente «spatusso», ossia talmente desideroso di ostentare la propria ricchezza, da circolare in una carrozza più appariscente di quella dei Savoia (cosa per il moralismo torinese inaccettabile).

Opere d’arte 

Oltre a essere un’opera d’arte nel campo della cioccolateria il gianduiotto ha intrecciato la sua storia anche con gli artisti tout court. Per rimanere in epoca recente si possono citare il neodada Aldo Mondino: allievo del futurista Gino Severini alla fine degli Anni 90 usava i gianduiotti (se li faceva fare appositamente da Peyrano, un altro marchio storico del cioccolato torinese) come tessere di mosaico per le sue coloratissime composizioni.

Ugo Nespolo oltre a realizzare nel 2007 una tavola per Giandujottomania (la bibbia sull’argomento scritta da Gigi e Clara Padovani) ha preparato in questi giorni la scatola per Chiarlo (famoso produttore di Barbera) che intende così festeggiare i 150 anni del cioccolatino.

Da citare anche Andy Warhol che una volta dichiarò che di Torino amava due cose: la ‘600 e i gianduiotti: forse un modo sottilmente perfido per manifestare indifferenza nei confronti dell’Arte Povera, nata a Torino proprio in polemica con la Pop Art di cui Warhol era il padre.

Il gianduiotto è finito anche nelle tavole a fumetti di Topolino: agli inizi degli Anni 2000 uscì un numero della rivista con la storia di Papermicca, che sarebbe stato anche creatore del gianduiotto. Per finire non si può non ricordare che a innamorarsi del cioccolatino sono stati anche chef famosi e pluristellati, da Cannavacciuolo a Enrico Crippa, che con i gianduiotti hanno creato alcuni piatti. Insomma il Gianduiotto ha 150 anni ma proprio non li dimostra. 

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